Una ventina di bambine di varie età,
ma vestite della stessa tutina nera e scarpine rosa pallido, si
allenano alle sbarre o sui tappeti della piccola palestra sotto la
supervisione di una donna sui quarant'anni dall'espressione
autoritaria. I suoi seccati richiami sovrastano sovente la delicata
melodia che riempie l'aria della stanza: si tratta dell'aria sulla
quarta corda di Bach.
Gli esercizi di riscaldamento sembrano
annoiare alcune delle bambine, che approfittano di ogni distrazione
della insegnante per scherzare e ridere tra loro. Richiamata con uno
sguardo severo della maestra, una di queste bambine si allontana
dalle altre e s'avvicina alle ampie vetrate. Fuori il cielo è così
grigio da rendere difficile capire che ore siano. La bambina sbuffa
annoiata, poi abbassa distrattamente lo sguardo al cortile
sottostante. Ci sono pochi alberi, pochi aceri color del bronzo, in
quello che sembra l'anonimo cortile recintato di rosso di una scuola.
Laggiù nel cortile, leggermente
nascosti dal fogliame, ci sono sei ragazzini. Tre stanno in piedi a
guardare e tre si azzuffano al centro di una piccola radura. Il
tumulto confuso scatena l'eccitazione della bambina che a gesti
richiama le compagne; non bastano i rimproveri della istitutrice per
dissuadere le bambine che, contagiate dall'euforia della prima,
s'affollano per gruppi spintonanti alle finestre, a bocca aperta.
Il pestaggio avviene in una atmosfera
di sospensione surreale.
Dei sei ragazzini, dall'età non
superiore ai tredici anni, uno è a terra, dolorante, gemente, senza
fiato nei polmoni per urlare, e due lo assaltano senza sosta, a calci
e pugni. Gli altri guardano. Fra loro c'è Paolo. Paolo ha dodici
anni e stringe lo zaino al petto, sopra il giaccone pesante. Guarda
con occhi sbarrati, l'espressione sperduta, da sconfitto. Gli altri
due osservatori invece ghignano e fomentano il pestaggio con versi
animaleschi di soddisfazione. Nell'aria aleggia ancora leggera la
sinfonia di Bach, alla quale si uniscono presto gli schiamazzi delle
bambine alla finestra. Paolo si gira e le guarda. Sopra le piccole
teste che ballonzolano euforiche c'è quella dell'insegnante che si
sbraccia per ristabilire l'ordine.
Il rumore secco dello spezzarsi di
legno riporta l'attenzione di Paolo sul pestaggio. Uno degli
assalitori ha trovato un bastone mezzo marcio per terra e lo stringe
minaccioso mentre torreggia sulla sua vittima, che sta rannicchiata e
piagnucolante fra le foglie marce. Impietosamente il bullo solleva il
bastone e poi l'abbassa con violenza. Un tonfo. Paolo chiude gli
occhi. Nel cortile il silenzio è assoluto. Totale. Anche ghigna e
lamenti infine tacciono. Anche la musica trattiene il fiato e
soffoca.
Poi i quattro colpevoli fuggono. Paolo
rimane solo con quel corpo disteso. Si avvicina fino a poter vedere
il sangue che comincia a colorare la testa bruna fra le foglie. Paolo
stringe ancora più forte lo zainetto al petto. Ancora gli manca il
respiro. Una quiete fatale è ristabilita: anche su nella palestra
gli schiamazzi ormai tacciono, e l'aria sulla quarta corda di Bach
torna a risuonare ovunque, placida e contemplativa. Lentamente il
sangue denso e scuro scorre dalla nuca del giovane, giù sulla lana
grezza del cappottino, e si raccoglie in coppe formate dalle foglie
d'acero morte e seccate. Come può esserci pace adesso? Questo
chiedono gli occhi di Paolo.